Vivere nello Zanskar
Padum, capoluogo dello Zanskar, è un villaggio che negli ultimi anni ha avuto un discreto sviluppo grazie a un inizio di turismo; sono sorti semplici ristoranti e piccole guest house con camere provviste di una doccia artigianale. Gli abitanti stanno iniziando ad attrezzare delle stanze nelle proprie case dove si può dormire alla tibetana su un materasso coperto da un tappeto a grandi disegni colorati e poggiato a terra; il bagno, un semplice buco nel pavimento di terra battuta, è in comune con la famiglia. Esso è posto sempre al primo piano e gli escrementi vanno a cadere
nella fossa sottostante e sono usati come concime degli orti estivi.
La popolazione, sparsa in piccole comunità nella valle, si aggira sulle 13000 unità, che in estate, nella poca terra coltivabile a 3500 metri e più di quota, riesce a ottenere un po’ di sostentamento da accumulare per l’inverno. È costituita da allevatori di bestiame e lo yak, portato d’estate in transumanza a quote più elevate, è la più grande fonte di reddito, visto che fornisce latte per produrre il burro dello Zanskar, molto famoso e apprezzato dai ladakhi, carne secca per l’inverno e lana per confezionare i pesanti indumenti indispensabili per ripararsi dal freddo.
L’alimentazione, basata su orzo, latte, burro, carne e sulla poca verdura coltivata solo d’estate, sta subendo evidenti cambiamenti per l’apertura di negozietti privati di vari generi di consumo. Una panetteria, negozi di carne per i musulmani e di verdura e frutta che espongono cipolle, carote, melanzane, cavoli, banane e piccole mele; perfino le minuscole uova, non esistendo nello Zanskar alcun genere di pollame, arrivano dal Kashmir.
La popolazione è in prevalenza di ceppo tibetano e fino a poco tempo fa aveva conservato quasi intatta la propria cultura, ma a seguito dell’indipendenza dell’India sono avvenuti anche qui molti cambiamenti. Uno dei più importanti ha riguardato la proprietà terriera ed i latifondisti hanno dovuto diminuire drasticamente i propri possedimenti, distribuendo ai sudditi le campagne da coltivare. Negli ultimi anni si sono intensificati gli insediamenti di popolazione musulmana, che, incentivando il commercio, ha alterato l’equilibrio preesistente.
Finora la convivenza si è rivelata pacifica, ma già si notano i primi scontri.
La poliandria veniva praticata fino a pochi anni fa presso i tibetani delle alte valli himalayane
e serviva a contenere il numero delle nascite. La moglie di un primogenito lo era anche degli altri fratelli che, non avendo diritto all’eredità, non potevano quindi costituire una famiglia propria e i figli che nascevano erano figli di più padri.
Sonam, la più famosa guida dei trekking invernali sul Chadar, vive tuttora in una tipica grande casa tibetana assieme alle famiglie dei suoi fratelli e con il vecchio zio, il fratello cadetto del padre mai sposatosi e che essi sentono come loro padre. Oggi la consistente presenza militare indiana facilita agli zanskar-pa l’arruolamento, per cui i figli cadetti si affrancano dalla famiglia e la poliandria, abolita per legge da anni, non ha più ragione d’esistere.
Il governo indiano ha dotato i villaggi di scuole elementari per alfabetizzare la gente che ancor oggi, e soprattutto le donne, va a firmare i documenti apponendo sulla carta il pollice sporco d’inchiostro. Purtroppo sono rari i maestri che accettano un incarico in questo ambiente così difficile e spesso le scuole restano senza insegnanti.
Ma il problema è così sentito dalla popolazione che a Padum un gruppo di donne tibetane ha fondato un’associazione che, con i proventi della vendita di berretti, calzettoni, fasce in lana prodotti durante l’inverno dalle donne dei villaggi e con piccoli aiuti esterni, finanzia corsi di due mesi solo per donne. L’iniziativa ha ottenuto un grande successo soprattutto presso quelle mamme che mandano i figli a scuola e che vogliono alfabetizzarsi per poter leggere le carte che firmano, far di conto e comporre un numero telefonico in modo autonomo.
Le case della valle vengono ancor oggi costruite con mattoni in terra cotti al sole e dipinte di bianco con disegni in rosso per tener lontano il malocchio; il tetto è piatto e ricoperto da piccoli legni ordinatamente sistemati per creare adeguato isolamento dalla neve. Il recupero del legname e dei rami è affidato ai ragazzini che scendono al fiume per prelevare i tronchi trasportati da lontano dopo il disgelo, nella valle non esistono alberi (purtroppo ciò è causa di molti incidenti e di qualche annegamento, perché sporgendosi troppo rischiano di scivolare e cadere nelle acque gelide). I pavimenti delle stanze sono in terra battuta, la cucina è costituita da un grande ambiente con una stufa nel mezzo e le poche stoviglie sono ordinatamente disposte su una credenza. Nel soggiorno privo di mobili è appoggiata a terra una stuoia e lungo il muro sono posti materassi ricoperti da un tappeto. Dappertutto aleggia un velo di polvere, sollevata dal vento del mattino
in queste montagne deserte, che riempie i bronchi creando seri problemi agli abitanti.
Tutto il lavoro qui è fatica: andare a cercare nel fiume i legni per coprire il tetto in terra delle case, raccogliere l’orzo e le piante di piselli che vengono strappate e costituiscono poi d’inverno il foraggio per gli yak, lavare i vestiti e il vasellame nei rigagnoli che scendono dai ghiacciai. L’acqua del fiume è pericolosa da bere, perché contiene caolino e sostanze che danneggiano lo stomaco, quindi bisogna pompare dal pozzo quella potabile. I pozzi artesiani sono stati scavati da pochi anni a spese della provincia, mentre il sistema d’irrigazione con acqua che scende dai ghiacciai, molto simile in tutte le aree della catena himalayana, dal Pakistan al Xinjian cinese, è molto antico ed è frutto del lavoro degli abitanti dei villaggi che hanno il compito di tenerlo pulito ed attivo.
Nonostante le fatiche della vita quotidiana la gente sorride ed è allegra, cerca di comunicare ed invita con facilità ad entrare nelle case a bere il tè tibetano, una bevanda particolare, di sapore salato, che si ottiene sciogliendo del burro in acqua calda, cui si aggiunge latte, sale e foglioline di tè: una bevanda molto calorica, importante per i climi freddi, che si associa alla tsampa, il cibo comunemente consumato in tutta l’area tibetana costituito da farina di orzo tostata mescolata al tè e rielaborata fino a darle la forma di palline.
I bimbi sono abituati ad essere molto liberi e giocano in mezzo alla terra ed alla polvere; non sono mai puliti, a volte neppure quando vanno a scuola. I raggi del sole a quest’altitudine bruciano loro le guance, che vengono curate spalmandovi il burro, unico unguento naturale che possiedono, senza però riuscire ad evitare piaghe dolorose e la pigmentazione scura della pelle. Tuttavia, ora sono reperibili anche in loco creme idratanti e sembra che i bambini abbiano meno problemi di questo genere.
Quello della salute è un grande problema e quando occorre ricorrere a cure ospedaliere insorgono gravi problematiche logistiche, perché l’elicottero dell’esercito serve a trasportare solo i soldati ed i loro famigliari. A Padum c’è un piccolo ospedale di primo intervento e presso alcuni villaggi sono stati istituiti alcuni ambulatori, mentre per le partorienti è disponibile un’ostetrica locale che, se necessario, si sposta anche a cavallo. Oggi le giovani cercano di recarsi a Leh già al settimo mese di gravidanza ed attendere presso qualche parente il momento di entrare in ospedale.
La prevenzione delle malattie non esiste: ad esempio, sarebbero necessarie visite oculistiche annuali per la sofferenza subita dagli occhi esposti all’intensa luce d’altitudine … tutti dovrebbero disporre di occhiali da sole, ma soprattutto i bambini, cui spesso vengono regalati, li rifiutano considerandoli accessorio da persone anziane; pertanto, per traumi purtroppo non curati, è frequente la perdita della vista.
Sebbene l’età media si sia alzata per le migliorate condizioni di vita, dovute anche a posti di lavoro alternativi a quelli estenuanti tradizionali, gli uomini sono ancora soggetti a gravi forme di cirrosi epatica conseguenti all’abuso di chang (la birra alcolica locale, leggermente fruttata, ricavata dalla fermentazione dell’orzo), durante il periodo invernale.